DOLORE ALLA SCHIENA- Come distinguerlo tra Acuto – Subacuto – Cronico e relativo trattamento?

DOLORE ALLA SCHIENA- Come distinguerlo tra Acuto – Subacuto – Cronico e relativo trattamento?

Oggi sappiamo che il dolore è un fenomeno fortemente vantaggioso, dal punto di vista evolutivo.

Se non provassimo dolore, non ci accorgeremmo di una frattura ossea, e, di conseguenza, il nostro corpo ne rimarrebbe danneggiato e indebolito.

Similmente, senza dolore potremmo accorgerci solo tardivamente di un’ infiammazione di un tessuto che, trattata precocemente potrebbe risolversi bene ma, ignorata, potrebbe portarci a gravi conseguenze cliniche.

Il dolore è quindi un valido strumento che il nostro corpo ha per avvisarci una minaccia, reale o percepita alla sua integrità, o al suo benessere.

Questo vale per quanto riguarda il dolore nocicettivo, ovvero il dolore “classico”, per come lo intendiamo generalmente.
Questo viene generato come conseguenza di un danno reale o percepito dei nostri tessuti corporei, tramite l’attivazione dei nocicettori (i recettori che, diffusi in tutto il nostro corpo, lo sorvegliano continuamente, ricercando eventuali stimoli potenzialmente nocivi).

E’ luogo comune nella popolazione e anche in molti operatori sanitari considerare il dolore esclusivamente come sintomo di una lesione tessutale (… ho maldischiena e quindi vado a cercare la causa sempre e solo nel punto ove accuso il sintomo …), ma il dolore quando supera i tre mesi (dolore cronico) è indipendente dalle cause che lo ha inizialmente generato ed è determinato da alterazioni a livello recettoriale periferico e/o a livello centrale cerebrale.

Il vantaggio che il dolore ci garantisce durante un infortunio acuto potrebbe non essere sempre presente: soprattutto in quello che generalmente viene chiamato dolore cronico o persistente, o, più propriamente, nociplastico.

In questo caso, il dolore non nasce da un danno dei tessuti corporei (pelle, ossa, muscoli, legamenti), ma viene generato da una alterazione del sistema nervoso, in presenza di un corpo sano (o non così danneggiato da giustificare intensità, durata o frequenza del dolore stesso).

In altre parole, il sistema di controllo del dolore diventa iper-protettivo, iniziando a reagire anche di fronte a stimoli che normalmente non lo innescherebbero.

In questo caso il dolore non ci protegge da eventuali malattie, ma è egli stesso una malattia.

Classicamente, la divisione tra dolore acuto/nocicettivo e dolore cronico/nociplastico viene effettuata basandosi su un criterio temporale: il dolore cronico dura da oltre tre mesi.

Si ricorda che qualsiasi lesione tessutale guarisce infatti al massimo in 12 settimane.
Il dolore nocicettivo non perdura mai oltre i tre mesi.

Il dolore nocicettivo periferico tende ad essere localizzato nell’area di lesione/problematica. Tende ad essere elicitato in maniera chiara, costante e proporzionato da determinate manovre/movimenti/posizioni.
Qualitativamente, tende ad essere acuto, in risposta a determinati stimoli o movimenti; a riposo, potrebbe essere caratterizzato da dolore sordo, di intensità minore.

Al contrario, il dolore nociplastico è caratterizzato da un’area di dolore diffusa/che non segue una distribuzione anatomica, come, per esempio, accade nel dolore neuropatico periferico per esempio, nella sciatica.

Un’ulteriore caratteristica del dolore nociplastico, è quella di essere disproporzionato sia rispetto alla causa presunta ed alla sua estensione, sia rispetto a quei fattori (movimenti, posture, attività), che tendono a provocarlo.

Infine, spesso è associato ad alterazioni della percezione corporea (senso di gonfiore, di rigidità, di intorpidimento o debolezza) o a difficoltà dal punto di vista cognitivo (deficit nella memoria, nell’attenzione o nella concentrazione).

Per il dolore cronico idiopatico e/o nociplastico entra in gioco la sensibilizzazione sia periferica che centrale.

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