I benefici dell’esercizio

I benefici dell’esercizio

Per quanto riguarda l’esercizio, occorre ricordare che in casi di dolore cronico, i suoi benefici non sono del tutto legati a motivazioni biomeccaniche, ma, più spesso, vengono determinati da un miglioramento dello psicologico/cognitivo (minor paura, catastrofizzazione, maggiore auto-efficacia…) fenomeni neurofisiologici quali l’ipoalgesia indotta dall’esercizio.

In altre parole, andremo a fornire input adeguati alla neuromatrice i quali, abbinati a modifiche nella componente cognitiva e affettiva (mediate dall’educazione), determineranno modifiche degli output nell’ambito della risposta dolorosa, comportamentale e da stress, attività volta a modificare progressivamente la plasticità cerebrale.

Per ottimizzarne l’efficacia, l’esercizio andrà proposto in maniera coerente con i concetti esposti e discussi durante l’educazione.

Forse sarebbe opportuno considerare esercizio ed educazione come le due facce della stessa medaglia: tramite l’educazione si propongono nuove chiavi di lettura all’esperienza del paziente, e con l’esercizio si va a confermare o rafforzare queste nuove acquisizioni favorendo la sedimentazione nella memoria del paziente.

Proprio perché il dolore persistente (soprattutto quello di lunga data) è poco indicativo di problematiche strutturali, l’esercizio andrebbe proposto in modalità tempo- contingente (ovvero da compiere per un determinato periodo, o per un numero di ripetizioni concordato in precedenza, anche in presenza di dolore).

Questo è necessario per andare a “ritarare”, o desensibilizzare la neuromatrice/il connettoma verso soglie maggiormente funzionali.

Quindi esporremo il paziente all’esperienza dolorosa senza che questa sia vista come un indicatore dello stato dei tessuti e senza che vada a scatenare reazioni psicologiche e comportamentali disfunzionali (exposure without danger).

Chiaramente, il dolore provato dal paziente dovrà essere percepito come controllabile, e non dovrà continuare ad aumentare dopo la cessazione dell’esercizio. Inoltre, è assolutamente necessario che il paziente percepisca l’esercizio (o l’attività fisica) come sicuro e significativo.

Purtroppo, spesso, quando le persone che soffrono di un dolore cronico tentano un approccio basato sull’esercizio vanno in contro al fallimento, perché la quantità di esercizio stesso è dosata in maniera poco accurata.

È quindi fondamentale andare a definire quale sia la baseline del paziente, ovvero la quantità di esercizio/attività che può venire effettuata senza che si incorra in un aumento invalidante e sproporzionato dei sintomi (quest’ultimo viene definito flare-up).

Questa può essere raggiunta con un approccio di graded exposure (per i pazienti con atteggiamenti da paura ed evitamento, che tendono a rinunciare al movimento per paura del dolore) o di pacing (per quelli che perseverano nelle loro attività nonostante il dolore, salvo poi venirne fermati quando questo raggiunge intensità non tollerabili).

Il primo consiste nell’andare a esporsi gradualmente a stimoli temuti o evitati, dotati di un’intensità tale da non elicitare una risposta emotiva negativa. Il secondo, è uno “spezzettamento” delle attività quotidiane in dosi meglio tollerate dal paziente.

Dopo aver individuato la baseline, sarà quindi opportuno procedere con un approccio tempo o quota contingente, ovvero con un incremento fisso di attività per intervallo di tempo, utile nell’andare a rafforzare, nel paziente, le nuove cognizioni sul dolore.

Archivio